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Anche le infrastrutture sono bloccate dai veti dello stallo elettorale

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Le macerie richiamate da Grillo ormai stanno sotterrando il Paese. L’immobilismo politico, l’ostracismo a qualsiasi forma di accordo lecito, l’incapacità di passare dalla fase destruens a quella costruens hanno contribuito a sclerotizzare una situazione da tempo congenita.

Lo stallo anche nella realizzazione delle opere preventivate. L’effetto-tsunami del Movimento 5 Stelle sommato alle spinte no global e alle richieste di SEL provoca quanto promesso in campagna elettorale, dalle piazze ai progetti delle grandi infrastrutture.

Il Paese paralizzato. Al Nord, certo. In Friuli, la conduttura elettrica Redipuglia-Udine Ovest è finita sotto la lente d’osservazione dei grillini. In Veneto, a Mira (provincia di Venezia), il sindaco del M5S Alvise Maniero ha votato nei primi giorni di marzo una delibera che blocca la costruzione dell’elettrodotto Dolo-Camin. Nelle Marche, i 5 Stelle hanno mostrato tutta la loro contrarietà alla realizzazione del collegamento Fano-Teramo.

Ma anche al Sud non va diversamente: i veti incrociati destinati a paralizzare la realizzazione di nuove opere in campo energetico, in Calabria e Sicilia. Dai rigassificatori di Gioia Tauro e Porto Empedocle, al nuovo elettrodotto Rizziconi-Sorgente, al “ponte elettrico” sullo stretto di Messina. Quest’ultimo è il caso destinato a fare maggiore scalpore: il nuovo collegamento elettrico Sorgente-Rizziconi, che Terna sta costruendo tra Sicilia e Calabria, è stato autorizzato dal Ministero dello Sviluppo economico nel 2010, dopo un iter durato 3 anni e mezzo. Dopo un’infinità di accordi e protocolli d’intesa firmati da tutte le amministrazioni comunali interessate. Comprese quelle che ora ne vorrebbero ridiscutere la fattibilità.

Appare innegabile che il cosiddetto “ponte elettrico sullo stretto di Messina”, inserito 7 anni fa per la prima volta nel Piano di sviluppo della rete elettrica nazionale, sia un progetto strategico. Non soltanto per l’ambito regionale ma per quello nazionale. Con un valore superiore a 700 milioni di euro rappresenta il maggior investimento di Terna attualmente in costruzione. Con numeri da Guinness: basta pensare al tratto sottomarino di 38 chilometri, il più lungo cavo a corrente alternata al mondo. Un’opera che avrebbe il pregio di abbattere il costo dell’energia elettrica in Sicilia, oltre che di mettere in sicurezza l’isola e scongiurare il rischio di blackout. Quel che, aldilà delle interpretazioni contrastanti, appare incontrovertibile è il costo dei ritardi fin’ora accumulati. Circa 3,5 milioni di euro.

Le contestazioni serrate, incalzanti. Diversi i comitati nati a contrasto dell’opera, pericolosa per la salute dei cittadini. Le sollecitazioni al Presidente della Regione Crocetta di farsi promotore della richiesta a Terna di sospendere i lavori, alla fine hanno raggiunto il loro scopo. Lettera spedita ma rinviata al mittente. Per Terna i lavori non si possono sospendere, anzi debbono essere completati entro il 2015. Poi la decisione dell’assemblea regionale, del 5 marzo scorso. Di approvare una mozione, promossa dai grillini, che impegna il governo regionale ad attivarsi nel tentativo di modificare il tracciato dell’opera.

Dall’elettrodotto al rigassificatore di Porto Empedocle. Il cui processo autorizzativo, iniziato 8 anni fa, è stato completato. Quindi virtualmente pronto per il “via”, nonostante l’opposizione del deputato dei Cinque Stelle Matteo Mangiacavallo. E del capogruppo Giancarlo Cancellieri. Tra proposte e controproposte, tra un rinvio e l’altro, anche in questo caso rimangono i costi: circa 100 milioni. Ai quali, nel caso di ritiro di autorizzazione da parte della Regione Siciliana, andrebbe aggiunta la più che probabile richiesta di danni da parte dell’Enel, “controllore” del 90% di Nuove Energie, la società impegnata nell’opera. Una cifra per danni dai mancati futuri guadagni, che è stata valutata intorno al miliardo di euro.

L’Italia dei fronti contrapposti si arricchisce di nuovi capitoli. Di altre storie di “no” che si ha l’impressione discendano da una contrarietà ideologica, un po’ preconcetta, piuttosto che da ragioni reali. Anche in questi casi più recenti a mancare sembra essere quella sana dose di buonsenso che in determinanti casi sarebbe necessaria. Da parte dei cittadini. Ma anche da parte delle istituzioni. Sulla salute delle persone non si può transigere, è ovvio. Stabilire la reale utilità di un’opera pubblica è doveroso. Ma pensare di costruire la rinascita del Paese su una serie infinita “no” è un’aberrazione. Un pericoloso esercizio. Che sempre più non ci si può permettere.


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